Ricerca

risultati

martedì, maggio 06, 2008

RoyalBlue

RoyalBlue


l'avevo veduta, non come la vivente respiratrice Berenice
,
ma come la
Berenice di un sogno, non come un essere della terra, terreno, ma come
l'astrazione di un tale essere, non come una cosa da ammirare, ma da
analizzare, non come un oggetto d'amore, ma come il tema di una
speculazione estremamente astrusa per quanto sconnessa. E ORA, ora io
rabbrividivo alla sua presenza, impallidivo al suo avvicinarsi; e pur
compiangendo amaramente le sue condizioni miserevoli di decadimento, mi
rammentai che da tempo ella mi amava e in un istante malaugurato le
parlai di matrimonio.

Ed ecco che finalmente il momento delle nostre nozze si stava
approssimando: durante un pomeriggio, nell'inverno di quell'anno, - una
di quelle giornate fuor di stagione, calde, calme, piene di foschia, che
ricorrono nell'epoca detta la nutrice del bellissimo Alcione, - io sedevo
(e sedevo solo, cosi' almeno credevo) in un angolo remoto della
biblioteca, allorche' alzando gli occhi mi accorsi che Berenice mi stava
di fronte.

Era frutto della mia immaginazione eccitata, o della influenza nebbiosa
dell'atmosfera, o del crepuscolo incerto della stanza, o erano forse i
grigi panneggi che cadevano in pieghe attorno ala sua figura, che
provocavano in questa un aspetto cosi' vacillante e vago? Non saprei
dire. Ella non proferiva parola, e io... neppure con uno sforzo sovrumano
sarei riuscito a pronunciare una sola sillaba. Un brivido di ghiaccio mi
corse per le ossa; mi sentii oppresso da una sensazione d'insopportabile
angoscia; una curiosita' divorante mi pervase l'anima, e ricadendo
all'indietro sulla sedia rimasi per qualche tempo immobile e senza fiato,
gli occhi fissi sulla sua persona. Ahime'! La sua emaciatezza era
estrema, e in tutto il suo aspetto non vi era piu' neppure una lontana
traccia dell'antica creatura. Alla fine il mio sguardo bruciante si poso'
sul suo viso.

La fronte era alta, pallidissima, stranamente serena; e i capelli un
tempo color del giaietto ricadevano parzialmente su di essa adombrando le
tempie cave d'innumerevoli riccioli ora di un giallo vivo e
sgradevolmente discordanti nel loro fantastico aspetto con la malinconia
predominante nelle sembianze di lei. Gli occhi erano senza vita, opachi,
apparentemente privi di pupille, e io mi ritrassi involontariamente dalla
loro vitrea fissita' per contemplare le labbra sottili, affilate. Queste
si aprirono, e in un sorriso di particolare significato i DENTI della
mutata Berenice si dischiusero lentamente ai miei occhi. Volesse il cielo
che io mai li avessi veduti, o che dopo quell'attimo in cui io li vidi
fossi morto!

Il rinchiudersi di una porta mi disturbo', e allorche' alzai lo sguardo
mi accorsi che mia cugina era uscita dalla stanza. Ma dai recessi del mio
cervello alterato non era, ahime', uscito, ne' mai ne sarebbe stato
scacciato, il bianco, terrificante SPECTRUM dei denti. Non una
macchiolina sulla loro superficie, non un'ombra sul loro smalto, non
un'intaccatura nei loro orli; ma che cosa quell'attimo del suo sorriso
non era bastato a imprimere nella mia memoria! Io ORA li vedevo con
minore possibilita' di equivoco di quanto li avevo veduti ALLORA. I
denti! I denti! essi erano qui, e li', e dovunque, e visibili e palpabili
dinanzi a me; lunghi, stretti, innaturalmente bianchi, con le pallide
labbra arricciantisi su di essi, come nel momento stesso del loro primo
spaventoso sviluppo. Allora sopravvenne la furia totale della mia
MONOMANIA, e invano io lottai contro la sua strana irresistibile
influenza. Negli oggetti moltiplicati del mondo esterno io non avevo
pensieri che per quei denti. Li consideravo con una cupidigia frenetica;
ogni altra cosa, ogni altro diverso interesse si astraeva nella loro
contemplazione singola. Essi, essi soltanto, erano presenti all'occhio
della mia mente, ed essi, nella loro unica individualita', diventarono
l'essenza dela mia vita mentale. Io li contemplavo in qualsiasi luce: li
volgevo in ogni atteggiamento; ne studiavo le caratteristiche, mi
indugiavo a studiarne le particolarita'. Meditavo sulla loro
conformazione: fantasticavo sulla trasformazione della loro natura:
rabbrividivo nell'attribuire ad essi con l'immaginazione un potere
sensitivo e sensorio, e anche senza l'ausilio delle labbra una capacita'
di espressione morale. Di Mademoiselle Salle e' stato detto "que tous ses
pas etaient des sentiments"; ma di Berenice io fermissimamente credevo
"que toutes ses dents etaient des idees". DES IDEES... Ah! questo fu il
pensiero allucinante che mi distrusse! DES IDEES!... Ecco PERCHE' li
desideravo con cosi' pazza cupidigia! Sentivo che soltanto il loro
possesso poteva ridonarmi la pace, restituirmi la ragione.

E cosi' la sera si chiuse su di me, e poi scesero le tenebre, e
indigiarono, e si dileguarono, e il giorno spunto' di nuovo, e i veli di
una seconda notte nuovamente si addensarono, e sempre io sedevo immobile
in quella stanza solitaria; e seguitavo a sedere sprofondato in
meditazione, e sempre il PHANTASMA di quei denti esercitava il suo
terribile influsso aleggiando con nitidezza sfolgorante, paurosa, tra le
luci mutevoli e le ombre della camera. Alla fine i miei sogni furono
interrotti da un grido come di orrore e di sgomento, al quale, dopo una
pausa, segui' un suono di voci turbate misto a molti sommessi gemiti di
dolore o di pena. Mi levai dal mio sedile e nello spalancare uno degli
usci della biblioteca vidi in piedi nell'anticamera una domestica in
lagrime la quale mi disse che Berenice... non era piu'. Era stata colta
da un attacco di epilessia durante le prime ore del mattino, e adesso che
la notte si avvicinava gia' la tomba era pronta ad accoglierla, e i
preparativi delle esequie gia' erano terminati.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Mi ritrovai seduto nella biblioteca e ancora una volta solo. Mi sembrava
che mi fossi da poco svegliato da un sogno eccitante e confuso. Sapevo
che era ormai mezzanotte, ed ero perfettamente consapevole che Berenice
era stata seppellita sin dal calar del sole, ma di quel tetro periodo
intermedio non avevo alcuna coscienza esatta, o per lo meno non definita.
Nondimeno il suo ricordo era pieno di orrore... di un orrore tanto piu'
orribile in quanto vago, di un terrore reso ancor piu' terribile dalla
ambiguita'. Era una pagina paurosa del libro della mie esistenza tutta
scarabocchiata di ricordi confusi, orrendi, incomprensibili. Tentai di
decifrarli, ma invano; mentre a intervalli, ripetuti, simile allo spirito
di un suono fuggente, l'urlo acuto lacerante di una voce femminile
sembrava rintronare entro le mie orecchie. Io avevo fatto qualcosa... ma
che cosa? Mi ripetevo la domanda ad alta voce, e gli echi bisbiglianti
della stanza mi rispondevano. - Che cosa?

Sul tavolo accanto a me bruciava una lampada, e accanto a questa era
posata una piccola scatola. Non rappresentava alcuna caratteristica
particolare e gia' io l'avevo veduta molte altre volte, essendo di
proprieta' del nostro medico di famiglia; ma come era venuta a finire
li', sul mio tavolo, e perche' rabbrividivo nel guardarla? Non sapevo in
alcun modo spiegarmi questo mio stato d'animo, finche' i miei occhi
caddero sulle pagine aperte di un libro, e precisamente su una frase
sottolineata in esso. Erano le strane e pur semplici parole del poeta Ebn
Zaiat: "Dicebant mihi sodales si sepulchrum amicae visitarem, curas meas
aliquantulum fore levatas". Perche' dunque nello scorrere quelle poche
righe i capelli mi si rizzarono sul capo, e il sangue del mio corpo si
raggelo' entro le mie vene?

In quella si intese all'uscio della biblioteca un bussare sommesso, e
pallido come l'abitante di una tomba un domestico entro' in punta di
piedi. Aveva lo sguardo alterato dalla paura, e si rivolse a me, con voce
tremante, soffocata, bassissima. Che cosa mi disse? Non afferrai che
alcune frasi rotte. Mi narro' di un grido forsennato che aveva squarciato
il silenzio della notte, che i familiari si erano radunati, che ricerche
erano state fatte in direzione del grido, e a questo punto i suoi accenti
divennero paurosamente distinti mentre egli mi sussurrava di una tomba
violata, di un corpo avvolto nel sudario sfigurato, eppure ancora
respirante, ancora palpitante, ancora VIVO.

Parlando, il domestico appunto' l'indice contro i miei abiti; erano
coperti di fango e tutti ingrommati di sangue. Io non parlai, ed egli mi
prese dolcemente la mano: era tutta segnata dall'impronta di unghie
umane. Rivolse quindi la mia attenzione a un oggetto appoggiato contro la
parete; lo fissai per alcuni minuti: era una vanga. Con un urlo balzai
verso il tavolo, afferrai la scatola che vi era posata sopra. Non ebbi
pero' la forza di aprirla; tremavo tanto che essa mi scivolo' di mano e
cadde pesantemente frantumandosi in mille pezzi. Da essa, con un rumore
secco, crepitante, uscirono rotolando alcuni strumenti di chirurgia
dentaria, mescolati a trentadue piccole cose bianche, eburnee, che si
sparsero qua e la' sul pavimento.

Nessun commento:

comming soon

>

Blog Archive

Elenco blog personale