Ricerca

risultati

martedì, maggio 06, 2008

Canto

Canto

Ti vidi nel tuo giorno nuziale
e t' invase una vampata di rossore,
quantunque felicita' ti brillasse d' intorno
e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.

E il baleno che s' accese nei tuoi occhi
(quale ch' esso fosse per me),
fu quando alla Belta' di piu' conforme
potesse svelarsi alla mia vista dolente.

Fu quel rossore, credo, pudore di fanciulla -
e ben si comprende che cosi' fosse.
Ma un piu' fiero incendio quel baleno
sollevo' - ahime'! - nel petto di colui

che ti vide nel tuo giorno nuziale,
allorche' ti sorprese quell' acceso rossore,
quantunque felicita' ti brillasse d' intorno
e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.



La stella della sera

L' estate era al suo meriggio,
e la notte al suo colmo;
e ogni stella, nella sua propria orbita,
brillava pallida, pur nella luce
della luna, che piu' lucente e piu' fredda,
dominava tra gli schiavi pianeti,
nei cieli signora assoluta -
e, col suo raggio, sulle onde.
Per un poco io fissai
il suo freddo sorriso;
oh, troppo freddo - troppo freddo per me!
Passo', come un sudario,
una nuvola lanugiosa,
e io allora mi volsi a te
orgogliosa stella della sera,
alla tua remota fiamma,
piu' caro avendo il tuo raggio;
giacche' piu' mi allieta
l' orgogliosa parte
che in cielo svolgi a notte,
e di piu' io ammiro
il tuo fuoco distante
che non quella fredda, consueta luce.



Imitazione

Un cupo insondabile mare
di sconfinato orgoglio -
mistero e sogno
m' appare quella mia prima eta';
un sogno, dico, che un estroso pensiero
popolo' di strani esseri mai vissuti,
che il mio spirito non ha mai veduto.
Oh, li avessi lasciati in passare,
col mio occhio sognante!
Nessuno al mondo erediti
quella mia visione d' allora;
quei pensieri io controllerei,
come per magia, nella sua mente:
giacche' quella fulgente speranza
e quel lieto tempo sono svaniti,
con essi ando' via, con un sospiro:
ma non m' importa che siano periti,
benche' cosi' cari li avessi allora.




Un sogno

In visioni di notturna tenebra
spesso ho sognato svanite gioie -
mentre un sogno, da sveglio, di vita e di luce
m' ha lasciato col cuore implacato.

Ah, che cosa non e' sogno in chiaro giorno
per colui il cui sguardo si posa
su quanto a lui e' d' intorno con un raggio
che, a ritroso, si volge al tempo che non e' piu'?

Quel sogno beato - quel sogno beato,
mentre il mondo intero m' era avverso,
m' ha rallegrato come un raggio cortese
che sa guidare un animo scontroso.

E benche' quella luce in tempestose notti
cosi' tremolasse di lontano -
che mai puo' aversi di piu' splendente e puro
nella diurna stella del Vero?



Il giorno piu' felice

Il giorno piu' felice - l' ora piu' felice
questo mio inaridito cuore ha gia' conosciuto;
ogni piu' alta speranza di trionfo e d' orgoglio
sento ch' e' fuggita via.

Trionfo? oh si', cosi' fantasticavo;
ma da gran tempo svanirono ormai
le visione di quel mio giovanile tempo -
e sia pur cosi'.

E quanto a te, orgoglio, che dirti?
Erediti pure un' altra fonte
quel veleno che approntasti per me -
Ora acquietati, o mio spirito.

Il giorno piu' felice - l' ora piu' felice -
che quest' occhi avrebbero visto - hanno gia' visto,
il rifulgente sguardo di trionfo e d' orgoglio
sento che e' spento ormai.

Ma mi fosse pur riofferta quella speranza
di trionfo e d' orgoglio, e con la pena
che allora avvertivo - quella fulgente ora
io non vorrei riviverla:

giacche' oscure scorie erano su quelle ali
e, al loro agitarsi, una maligna essenza
ne pioveva - fatale per un' anima
che gia' l' ha conosciuta.




Il lago

Nel fior di giovinezza, ebbi in sorte
d' abitar del vasto mondo un luogo
che non poteva ch' essermi caro e diletto -
tanto m' era dolce d' un ermo lago
la selvaggia bellezza, cinto di nere rocce,
con alti pini torreggianti intorno.

Ma poi che Notte, come su tutto,
aveva li' disteso il suo manto,
e il mistico vento e melodioso
passava sussurrando - oh, allora,
con un sussulto io mi destavo
al terrore di quel solitario lago.

Pure, non mi dava spavento quel terrore,
ma anzi un tiepido diletto -
un diletto che ne' miniere di gemme
ne' lusinghe o donativi mai potrebbero
indurmi a definir qual era -
e neanche Amore - fosse anche l' Amor tuo.

Morte abitava in quelle acque attossicate,
e una tomba nel profondo gorgo
era disposta per chi sapesse ricavarne
un sollievo al suo immaginare:
il solingo spirito sapesse fare
un Eden di quell' oscuro lago.




Sonetto alla Scienza

Scienza, vera figlia ti mostri del Tempo annoso,
tu che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
Ma dimmi, perche' al poeta cosi' dilani il cuore,
avvoltoio dalle ali grevi e opache?
Come potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
se mai volesti che libero n' andasse errando
a cercar tesori per i cieli gemmati?
Pure, si librava con intrepide ali.
Non hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
E scacciato l' Amadriade dal bosco,
che in piu' felice stella trovo' riparo?
Non hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
l' Elfo ai verdi prati e me stesso infine
al mio sogno estivo all' ombra del tamarindo?




Romanza

Romanza, che ami annuire e cantare
col capo assonnato e le ali ripiegate,
tra verdi fronde, quali agita
nel suo fondo un ombroso lago,
fu per me un variopinto pappagallo
- oh, a me familiare uccello -
che m' apprese a dir l' alfabeto
e a balbettare le prime parole,
qundo nel bosco selvaggio io giacevo,
fanciullo - dall' occhio sagace.

Ma da un pezzo, del Condor gli eterni anni
cosi' scuotono il cielo stesso la' in alto,
con tumulto di tuoni mentre passano,
che non ho io piu' tempo per oziose cure,
mentre spio l' inquieto cielo.
E quando un' ora con piu' lievi ali
getta su di me le sue morbide piume,
dissipar quel breve tempo con lira e rime
(vietate cose!) - delittuoso parrebbe al mio cuore:
a meno che con le corde non vibri anch' esso.




A _

I recessi ombrosi dove in sogno io vedo
i piu' vaghi uccelli canori,
son come labbra - e tutta la tua melodia
di parole cui il labbro da forma. -

I tuoi occhi, gemme nel cielo del cuore,
desolati si posano allora,
o Dio!, sulla mia mente funerea -
luce di stelle su un nero drappo.

Il tuo cuore - il tuo cuore! Mi ridesto
e sospiro, e dormo per sognare
di quella verita' che l' oro non puo' mai comprare -
e di quelle futilita' che sempre puo', invece.



Al fiume

Bel fiume! Nel tuo limpido flutto
di lucido cristallo, acqua errabonda,
tu sei emblema d' una fulgente
belta' - cuore non disvelato -
piacevole intrico dell' arte
nella figlia del vecchio Alberto;

ma quando la tua onda ella contempla -
che scintilla allora e tremola,
oh, allora il piu' leggiadro rivo
si fa simile a colui che l' adora:
che' nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,
l' immagine di colei e' radicata:
in quel cuore che tremola al raggio
di occhi che cercano l' anima.




A _

Non m' importa che la mia terrena sorte
ben poco abbia di terreno in se' -
che anni d' amore cosi' siano cancellati
nell' astio di un momento: -
a me non duole, o cara, che altri infelici,
di me siano piu' felici,
ma che tu abbia a soffrire per il mio destino,
che e' solo quello d' un fuggitivo.




Solo

Fanciullo, io gia' non ero
come gli altri erano, ne' vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni - ne' mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Ne' il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l' amai da solo.
Allora - in quell' eta' - nell' alba
d' una procellosa vita - fu deerivato
da ogni piu' oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m' avvince -
dai torrenti e dalle sorgenti -
dalla rossa roccia dei monti -
dal sole che d' intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali -
dal celeste baleno
che daccano mi guizzava -
dal tuono e dalla tempesta -
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l' altro cielo)
d' un demone alla mia vista -



Elizabet

Elizabet - a me par giusto sommamente
(logica e comun senso cosi' ordinando)
che nel tuo libro per primo si scriva il tuo nome,
checche' ne pensino Zenone ed altri saggi;
ed io ho poi altri motivi per cosi' fare,
oltre al mio innato gusto per la contraddizione:
ciascun poeta - se poeta - nel suo tener dietro
alle vaganti Muse, per i recessi del Vero e del Finto,
ha ben poco studiato la sua parte,
letto quasi nulla, scritto ancora meno - e', in breve,
uno sciocco senz' anima, senza sensi e senza l' arte,
se mostra di ignorare una norma cosi' importante,
perfino adoperata nei compiti scolastici -
che si chiama - il nome greco non ricordo
(ma quale sia, il senso suo non muta):
<>




Acrostico

Elizabet, vano e' del tutto che tu dica
<> - se poi lo dici in quel dolce modo:
invano quelle parole da te dette o da L. E. L.
cosi' rafforzavano i talenti di Santippe:
ah, se quel linguaggio ti zampilla dal cuore,
esprimilo meno amabilmemte - e velando i tuoi occhi.
Endimione, ricordati, quando la Luna volle
curarne l' amore, per sempre resto' curato d' ogni cosa -
follia, fierezza, passioni - giacche' ne mori'.




A Elena

Elena, la tua bellezza e' per me
come quei navigli nicei d' un tempo
che, mollemente, sull' odorato mare,
riportavano il pellegrino stanco d' errare
alla sponda natia.

Da tempo avvezzo a disperati mari,
la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto,
la grazia di Naiade riportano me anche in patria,
a quella gloria che fu la Grecia,
a quella maesta' che fu Roma.

La', nel rilucente vano della finestra,
come statua eretta io ti vedo,
con in mano la tua lampada d' agata!
Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni
che son Terra-Santa!




La valle dell' inquietudine

Un tempo sorrideva silenziosa
una piccola valle dove nessuno piu' abitava:
la gente era partita per le guerre,
affidando ai miti occhi delle stelle, a notte,
dalle alte torri azzurre, la custodia
di quei fiori, sopra i quali, per tutto il giorno,
pigramente indugiava la rossa luce del sole.
Ora invece al viandante che di li' passasse
si mostrerebbe il tristo stato di quella valle.
Nulla e' ora li' che stia senza un moto:
nulla, tranne l' aria che immobile sovrasta
su quella magica solitudine.
Oh, non un soffio piu' sommuove quelle fronde,
che ora palpitano come gelide onde
d' intorno alle nebbiose, lontane Ebridi!
Oh, non un vento sospinge quelle nuvole,
che con gravezza si spostano nel cielo inquieto,
dal chiaro mattino fino a sera,
sui fitti campi delle viole non colte -
miriadi d' occhi umani d' ogni foggia -
e sui gigli che ondeggiano e gemono
sopra una tomba che non ha nome!
Ondeggiano: dalle cime profumate
rugiade cadono in gocciole immortali.
Gemono: dagli steli delicati
discendono gemme d' eterne lacrime.




A una in Paradiso

Eri per me quel tutto, amore,
per cui si struggeva la mia anima -
una verde isola nel mare, amore,
una fonte limpida, un' ara
di magici frutti e fiori adornata:
e tutti erano miei quei fiori.

Ah, sogno splendido e breve!
Stellata speranza, appena apparsa
e subito sopraffatta!
Una voce del Futuro mi grida
<> - ma e' sul Passato
(oscuro gugite!) che la mia anima aleggia
tacita, immobile, sgomenta!
Perche' mai piu', oh, mai piu' per me
risplendera' quella luce di Vita!
Mai piu' - mai piu' - mai piu' -
(e' quel che il mare ripete
alle sabbie del lido) - mai piu'
rifiorira' un albero percosso dal fulmine,
ne' potra' piu' elevarsi un' aquila ferita.

Vivo, trasognato, giorni estatici,
e tutte le mie notturne visioni
mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
a la' dove tu stessa ti porti e risplendi,
oh, in quali eteree danze,
lungo rivi che scorrono perenni.




Inno

Al mattino, al meriggio, al fosco crepuscolo -
tu hai udito il mio inno, Maria!
In affanno e letizia - nel bene e nel male -
tu, madre di Dio, ancora rimani con me!
Quando piu' liete per me scorrevan le Ore,
e non una nuvola oscurava il mio cielo,
la tua grazia trepida guidava a te
l' anima mia perche' non si smarrisse;
e ora che il Destino per me piu' addensa
le sue tempeste e in me confonde presente
e passato, fa' che almeno risplensa il futuro
e per me irragi dolce speranza di te!




A -

Dormi, oh dormi per un poco ancora!
Perche' cessare un cosi' placido sonno?
Per ridestarti al sole e al piovasco,
al sorriso e al pianto?

Dormi, dormi, come scolpita immagine,
cosi' colma di belta', di maesta';
i serafini con l' ali ti fan vento,
fan vento alla tua fronte.

Non vorremmo pensarti creatura terrestre,
perche' angelica, oh angelica la tua forma! -
ma che in cielo, piuttosto, avesti origine,
dove mai tempesta
s' abbatte' sul bel fiore perfetto,
ma tutto e' calma e belta' -
e sabbie dorate proclamano ore
che mai non recano alcun male.

Dormi, dormi, forse un sogno fatato passa
sul tuo sonno e con esso s' intreccia.
Ma, oh, il tuo chiaro, sereno spirito
pur dovra' svegliarti al pianto.




Fanny

Il cigno morente in qualche nordico lago
intona il suo canto di morte, sottile e dolce,
e come quella musica irrompe nell' aria,
gia' si dissolve per il colle e la valle;
cosi' musicale a me pervenne la tua voce,
cosi' tremolo' sulla tua lingua il mio nome.

Come sprazzo di sole per una nuvola d' ebano,
che vela il solenne cielo della notte
e fora il freddo sudario della nera sera
cosi' a me pervenne il primo dardo di quell' occhio;
ma, simile a una roccia d' adamante,
il mio spirito l' incontro' e ne sostenne il colpo.

Oh, richiami la tua memoria quel ragazzo
che il suo cuore poso' sulla tua ara,
e quando i suoi passi piu' remoti risuoneranno,
pensa ch' egli giudico' divini i tuoi incanti:
una vittima sull' altare d' amore trafitta
da occhi stregati che gl' indicavano disdegno.




A F-s S. O-d
Vorresti essere amata? e tu fa che il tuo cuore
non si discosti dal sentiero di ora!
Essendo ogni cosa che ora tu sei,
non esser mai altro che non sei.
Cosi' i tuoi cortesi modi di vita,
la tua grazia, la tua piu' che bellezza
saranno un tema d' elogio senza fine,
e l' amore - non altro che un puro dovere.




A F-

O mia amata, fra i dolenti affanni
cosi' folti sul mio terrestre sentiero -
triste, ahime'! - dove mai non cresce
un fiore, mai alcuna rosa solitaria -
trova sollievi almeno l' anima mia
in molti sogni di te: e conosce allora
un Eden di blando riposo.

Cosi', dal ricordo di te si distilla
in me un' isola d' incanto, lontana,
in mezzo a un tumultuante mare -
fremente oceano e immenso, esposto
ad ogni tempesta - nel mentre che, intanto,
i piu' sereni cieli, continuamente,
solo sorridono su quell' isola fulgente.




A Zante

O bella isola, che dal piu' bel fiore
prendi il tuo nome, fra tutti il piu' gentile!
Quante memorie di raggianti ore
da te si ridestano al tuo solo apparire!
E parvenze di quale perduta felicita'!
E pensieri di quali speranze sepolte!
E visioni di una fanciulla, sui tuoi verdi
pendii, che non e' piu', che non e' piu'!
Non piu'! Ahime', quel magico e triste suono
che tutto trasmuta! Non piu' lodero' i tuoi incanti,
non piu' il ricordo di te! Un esecrato suolo
d' ora in avanti riterro' il tuo lido fiorito,
o isola giacintea! O purpurea Zante!
<>



Silenzio

Vi sono qualita' - incorporee essenze,
cui e' data come una duplice vita, che e' poi
emblema della doppia entita' che sempre scocca
da materia e luce, in solida forma e in ombra.
Vi e' un silenzio che e' duplice - mare e riva -
corpo e anima. Abita l' uno in solitari luoghi,
ricoperti d' erba recente: qualche solenne grazia,
umane memorie e una lacrimata sapienza
gli han tolto ogni terrore. Il suo nome e' Mai piu'.
E' quello il silenzio corporeo: non devi paventarlo!
Non ha potere in se stesso di nuocere.
Ma se mai un incalzante fato (intempestiva
sorte!) ti portasse a incontrare la sua ombra,
(un elfo e', senza nome e frequenta solighe plaghe,
mai calpestate dal piede di un uomo),
oh, allora, raccomandati a Dio!




Una valentina

E' scritta questa rima per colei i cui occhi
lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
troveranno il suo stesso dolce nome annidato
sulla pagina, celato ad ogni lettore.
Osservate i versi attentamente! Vi e' in essi
un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
che si deve portare sul cuore. Osservate poi
il metro - le parole - le sillabe!
Nulla si tralasci, o sara' vana la fatica!
E non v' e', nondimeno, nessun nodo gordiano
che senza una spada non potreste disciogliere,
se solo n' afferraste il soggetto.
Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
in cui l' anima balena, s' ascondono, perdues,
tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
da un poeta a un poeta - e d' un poeta e' anche il nome.
Le sue lettere, benche' ingannino, ovviamente,
come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l' indovinello.




A Luisa Olivia Hunter

Per quanto mi volga, non fuggo -
non so distaccarmi;
vorrei tentare, ma non tento
di rilasciare il mio cuore.
E le mie speranze ormai son morte
intanto che, nei sogni fidando,
ancor resto allettato.

Cosi' la guizzante serpe che si torce
sotto l' albero nel bosco
travolge l' uccelo mentre suadente
l' induce a scendere di poco;
simile a quell' uccello e' l' amante,
che intorno che al fato volteggia
finche' il colpo e' inferto
ed egli cade - com' io cado.




A M.L.S.

Per quanti in te salutano il mattino, se tu appari,
per quanti e' come nera notte la tua assenza -
quasi che del tutto si cancellasse dall' alto cielo
il sacro sole - fra quanti caramente in ogni ora
t' elogiano per le speranze, la vita e oh, ancor piu',
per il risorgere in essi d' una gia' sepolta fede
nel Vero - nella Virtu' - nell' Umanita' -
fra i giacenti nel triste letto d' afflizione
gia' vicini a morire, si levarono d' un tratto
alle tue parole soavemente mormorare <>
alle tue parole soavemente mormorare che s' adempiano
nel serafico balenare del tuo sguardo -
fra quanti, a te piu' grati, piu' son disposti
a riverente adorazione, oh, ricorda il piu' sincero,
il piu' fervente, il piu' devoto, e pensa
che da lui questi gracili versi furono scritti -
da lui che, tracciatoli, gia' trema nel pensare
che s' accomuna il suo spirito a quello d' un angelo.




A -

Or non e' molto, chi scrive queste righe,
nel suo folle orgoglio d' intellettualita',
sosteneva il <> - negando
che mai pensiero in un cervello umano possa nascere
di la' dall' espressione dell' umana lingua;
ed ora, quasi a beffardo per quel vanto,
due sole parole - due dolci disillabi stranieri -
italiani suoni - di quelli che solo bisbigliano
gli angeli sognanti alla luna, nella <che perlacea catena, avvolge il colle Hermon>> -
hanno tratto dagli oscuri abissi del suo cuore
pensieri non-pensati, anime di pensiero,
piu' ricche visioni, piu' selvegge e piu' estatiche
di quelle che l' angelo arpista, Israfel,
cui <>,
non potrebbe dire mai. E io! Ogni risorsa e' svanita.
Cade la penna inerte dalla mia mano che trema.
Col tuo caro nome come testo, pur da te richiesto,
nulla riesco a scrivere - a dire, a pensare,
a sentire, ahime'; giacche' non e' sentire
questo mio immobile soffermarmi sulla dorata
soglia dell' aurea porta dei sogni, mentre
ne ammiro, estasiato, la fuggente prospettiva,
ed esaltarmi nel veder, sia dal destro lato
o da quello a sinistra, e lungo tutto il cammino,
tra vapori purpurei, fin dove in lontananza
quel prospetto s' arresta - te sola.




Enigma

<>, dice Salomone Allocco,
<Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo
agevolmente, come in un berretto di Napoli -
ciarpame! robaccia! - come puo' portarlo una signora?
E piu' pesa, pero', della vostra stoffa petrarchesca -
piumate assordita' che un lieve soffio disperde
e ammucchia in cartaccie sol che l' esaminiate>>.
E Salomome ha invero ragione.
I soliti versi tuchermaniani sono bubbole
notorie - effimere e cosi' trasparenti -
ma questa mia, ora - potete esserne certa -
e' solida, nitida, immortale - e tutto questo
a causa dei cari nomi che vi sono celati.




Un sogno dentro un sogno

Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,
lascia che io ti dica
che non sgabi se pensi
che furono un sogno i miei giorni;
e, tuttavia, se la speranza volo' via
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nient' altro,
e' forse per questo meno svanita?
Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
non e' che un sogno dentro un sogno.

Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono sul mare!
Ed io piango - io piango!
O Dio! Non potro' trattenerli con una stretta piu' salda?
O Dio! Mai potro' salvarne
almeno uno, dall' onda spietata?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non e' che un sogno dentro un sogno?




Eldorado

Con il suo gaio cimitero
un ardito cavaliere,
sotto il sole e in fitta ombra,
gia' da tempo andava errando
- e cantava una canzone -
ricercando l' Eldorado.

Ma divento' vecchio intanto -
questo prode cavaliere -
e gli calo' sul cuore
un' ombra, che' non trovava
mai terra o luogo
somigliante all' Eldorado.

E quando le forze
l' abbandonarono infine,
incontro' un' ombra pellegrina -
<>, egli chiese,
<questa terra d' Eldorado?>>

<della Luna,
giu' nella Valle delle Tenebre,
cavalca, cavalca intrepido>>,
cosi' l' ombra gli rispose -
<>




A mia madre

Poiche' io ben sento che negli alti cieli
gli angeli, bisbigliando l' uno all' altro,
parola non trovano, fra i loro ardenti accenti,
che sia piu' devota di quella di <>
io gia' da tempo a te ho dato quel caro nome -
a te che piu' che madre mi sei e che mi ricolmi
il cuore, dove Morte t' installo', lo spirito
liberando, al contempo, della mia Virginia.
La mia propria madre, che cosi' presto mi lascio',
non fu che di me solo madre; ma tu sei madre
di colei che io cosi' caramente ho amato:
sicche' a me piu' cara tu sei dell' altra
per quell' infinita via per cui la mia sposa
fu alla mia anima piu' cara che la vita stessa

Nessun commento:

comming soon

>

Blog Archive

Elenco blog personale