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mercoledì, ottobre 01, 2008

AMICI MIEI ATTO I


AMICI MIEI ATTO I



Amici miei, unitamente ad altre famose pellicole dello stesso periodo, segna l'inizio di un ciclo nuovo e conclusivo di quel genere comico-cinematografico meglio conosciuto come commedia all'italiana.

L'amarezza, il disincanto, la fine delle illusioni di benessere e le tensioni sociali che caratterizzano l'Italia degli inizi degli anni '70 fanno la loro comparsa anche in questo genere comico e di costume. La risata piena si vela di tratti malinconici e tristi, i personaggi rimangono comici ma diventano amari e patetici. Scompaiono definitivamente il lieto fine e il finale leggero o comunque umoristico e lasciano il posto alla precarietà di una condizione umana spesso senza prospettiva.

Monicelli riprende in questa pellicola il tema della amicizia virile che aveva già trattato in alcuni film precedenti (I soliti ignoti, La grande guerra, L'armata Brancaleone) e che tornerà a trattare in lavori successivi. Il vincolo, la vitalità e la complicità del gruppo vengono proposti come risposta alle minacce esistenziali provenienti dall'ambiente, dal lavoro, dalla famiglia stessa. I membri del piccolo gruppo di amici vivono la contraddizione di una vita normale verso la quale sono assolutamente attratti (Il Melandri cerca insistentemente una donna, il Mascetti si abbandona costantemente ai sogni di nobiltà, il Perozzi vive pericolose avventure extra-coniugali) ma è fondamentalmente l'appartenenza alla banda che supplisce, con le sue dinamiche goliardiche, alla carenza delle quali sono vittime, fornendo così una soluzione, una via di fuga. Il gruppo reagisce nei confronti di ogni singolo membro che tenta di intraprendere una via solitaria e mette in atto tutta una serie di iniziative, compreso il dileggio, per ricondurlo a sé. Anche la morte, estremo atto solitario del Perozzi, viene vissuta in questa ottica e su questa originalità si accende il finale del film.

Il film ruota intorno al racconto inesauribile delle trovate goliardiche (le zingarate) con le quali 4 amici cinquantenni, nella Firenze a cavallo degli anni '60 e '70, cercano di prolungare lo stato felice della propria infanzia, fuggendo le responsabilità ed i tormenti della vita adulta.

Il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) è un nobile decaduto che, dopo aver speso due eredità (la sua e quella della moglie), non riesce a far fronte al sostentamento della propria famiglia, ma che coltiva ciononostante il gusto del buon vivere e la passione per le relazioni clandestine, nonché un'inossidabile dignità e senso dell'ospitalità. Il Perozzi (voce narrante del film, interpretato da Philippe Noiret) è uno squinternato giornalista di cronaca che cerca di sfuggire la disapprovazione che moglie e figlio gli riversano contro quotidianamente, tradendola con la moglie del fornaio. Il Melandri (Gastone Moschin) è un anonimo architetto alla perenne ricerca di una donna e per la quale sarebbe anche disposto ad abbandonare i suoi tre amici, salvo ravvedersi all'ultimo momento. Il Necchi (Duilio Del Prete) è invece un barista ed è proprio nel suo locale con annessa sala biliardo che prendono vita le zingarate alle quali lui stesso partecipa puntualmente. Ai quattro amici di sempre si aggiunge, nel corso della narrazione, il professor Sassaroli (Adolfo Celi) un brillante primario ospedaliero annoiato dalla professione il quale diventerà in breve uno dei pilastri del gruppo e sotto la cui spinta le bravate prenderanno nuova vitalità.

La vita dei cinque goliardi sembra snodarsi quotidianamente nella sola annoiata ricerca dello scherzo e del divertimento quando irrompe sulla scena la morte improvvisa di uno dei membri del gruppo. Il riso e il pianto, l'ironia e l'amarezza vivono una commistione perfetta che raggiunge lo zenit nella scena finale, quando i quattro superstiti, pur piangendo il compagno morto, trovano egualmente lo spirito per mettere a segno una nuova zingarata, in una vena dissacratoria che rimane inarrestabile e che arriva a sbeffeggiare e ridicolizzare anche la morte. Il finale, anche se non esattamente "lieto", lascerà comunque un sorriso velato di amarezza sulla bocca degli spettatori.

Si chiude così un capolavoro della commedia all'italiana: con quella risata che squarcia l'anima, e la cui ricerca è il comune denominatore dell'opera di Sordi, De Sica, in parte Totò. Una menzione particolare per la meravigliosa colonna sonora, firmata da Carlo Rustichelli.

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