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sabato, aprile 26, 2008

adattiamoci


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Posted by natashalardera


Non a caso molti dei film piu’ belli che il cinema mondiale ci da’ sono ispirati a romanzi o comunque a scritti di autori letterari. Si parla quindi anche di favole (Harry Potter), opere teatrali (da Romeo e Giulietta di Zeffirelli del 1968 a Romeo + Juliet di Baz Luhrmann del 196), fumetti (tutti i Batman e Spider Man), biografie (ora nei cinema americani sta riscuotendo molto successo Capote, film sullo srittore americano Truman Capote) e notizie giornalistiche (Three Kings, 1999). Il tema dell’adattamento cinematografico fa sempre discutere e professori di cinema ed esperti si alternano spesso a dare presentazioni e le loro opinioni a riguardo. Millicent Marcus, della Yale University, ad una presentazione fatta in passato all’Istituto Italiano di Cultura, ha dichiarato, “Voglio usare un tono polemico,” e ha continuato con la sua teoria che “non e’ vero che un film debba essere fedele allo scritto su cui e’ basato, l’autore di cinema ha il diritto di creare la sua opera d’arte, dandogli il suo taglio personale. La sua deve essere una reinvenzione della storia raccontata dal ui in un linguaggio nuovo fatto di immagini e di suoni.” Tra l’opera letteraria e qualle cinematografica c’e’ quindi un dialogo non uno stato di sottomisione. In genere i romanzi sono le opere piu’ usate come ispirazione (molti affermano la causa sia la mancanza di scenggiatori capaci di creare opere altrettanto interessanti usando solo la mera fantasia), e generalmente questi adattamenti cercano di conquistarsi l’audience di massa, adattando cosi’ tutti i best sellers, o di fare qualcosa di diverso ed introducendo cosi’ opere di autori meno conosciuti. Il regista russo Sergei Eisenstein dichiaro’ che le opere di Charles Dickens (Roman Polanski ha realizzato una spettacolare versione di Oliver Twist) erano filmate molto spesso, piu’ delle opere di altri autori. Il motivo perche’ lo stile di Dickens, ricco di azione e di lunghe descrizioni, era facile da tradure sullo schermo. Romanzi piu’ introspettivi ed intellettuali sono piu’ complicati per essere riportati “fedelmente” ed entra cosi’ in gioco l’interpretazione dell’autore di cinema. Quindi scrittori come Stephen King (The Shining, 1980) e Michael Crichton (Jurassic Park, 1993) sono piu’ facili da tradurre che un James Joyce (Ulysses fu realizzato nel 1967). Non bisogna dimenticare pero’ che il cinema possiede degli strumenti che il romanzo non ha che possono facilitare questa traduzione: la slow motion e specialmente il montage, quelle sequenze in cui diversi avvenimenti vengono messi tutti insieme quasi come in un collage accompagnato da un sottofondo musicale. Protagonista del discorso di Millicent Marcus Pier Paolo Pasolini, un artista che non solo si dedico’ al cinema ma anche alla letertura e alla poesia, avendo cosi’ una conoscenza di piu’ forme di narrazione. Nel suo Decameron (1970) Pasolini non e’ fedelissimo all’opera del Boccaccio e ne cambia alcune cose, tra cui la piu’ eclatante: la lingua. Si passa cosi’ dal toscano perfetto ed erudito al napoletano, linguaggio con una connotazione decisamente differente. Si e’ parlato, con Ivone Marguiles docente dell’Hunter College, anche della conversione dell’opera di Vittorini Conversazione in Sicilia e della sua traduzione sul grande schermo Sicilia! (1999) di Straub e Huillet. Il libro e’ poetico, allegorico, ed esistenziale mentre nel film, basato a sua volta su uno spettacolo teatrale dei sue registi, riesce a tradurre questo linguaggio in immagini semplici e pure, chiare da capire. Si guarda cosi’ alle due opere come due opere ben distinte, ognuna pienamente riuscita nel proprio genere. Quante volte si esce dal cinema dopo avere visto un film “basato su...” e la prima frase che ci esce dalla bocca e’ “Si ma preferisco il libro,” oppure “Ma nel libro non succede cosi”. Nessuno dice che questo paragone non si debba fare ma che, come noi abbiamo il diritto di dichiarare la nostra opinione, il regista ha il diritto di darci la sua versione della storia.




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